Che strani intrecci sviluppa a volte il dormiveglia, che macramè di colori e fili aggrovigliati. Gli ottomani sui moli facevano correre le dita, stabilendo relazioni di corde e di nodi, legami di cuore e di idee, senza pensarci, chiacchierando e fumando in pipe di legno di fico, marinai fra marinai. Il merletto prendeva forma da solo, inseguendo un filo più lungo o un nodo ormai inestricabile (vietate le soluzioni gordiane: non la spada umana ma solo la delicata lama dell'ultima Parca può interrompere il fluire del ricamo) e diventava narrazione, racconto, romanzo, mito. O errore, intorno a cui costruire una nuova regola, un nuovo metro, una variazione nella jam session delle umane passioni.

 

 

Una notizia captata quasi per caso mi riporta alla mente una vecchia canzone di De Andrè.

A un certo punto, nella canzone emerge un nome

A tarda sera io e il mio illustre cugino De AndradeEravamo gli ultimi cittadini liberi
Di questa famosa città civilePerché avevamo un cannone nel cortileUn cannone nel cortile
Ora, ci sono due importanti De Andrade, poeti e scrittori entrambi, vicini per geografia, lingua, tempo e sentimento: Oswald de Andrade (che è quello a cui si riferisce De Andrè, lo dirà in una intervista) e Mário de Andrade.
 
Questo è Oswald
Oswald de Andrade
 
Questo è Mário
Mário de Andrade
 
Amici e sodali, patiscono confusioni e intrecci contronatura di aneddoti e di opere.
 
Mário, per esempio, è autore di alcuni versi non del tutto disdicevoli che grandi successi hanno mietuto soprattutto nelle vaste praterie della poesia utilizzata dai coach motivazionali.
 
Della poesia di Mário, che io sappia, non esiste alcuna traduzione "ufficiale" e seria in italiano e di tutta la sua produzione, vasta e inaccessibile nell'arrotata vocalità del portoghese paulistano, solo la poesia "delle caramelle" si trova nell'internet italiano. Si trova però in traduzioni arronzate, amatoriali, inaffidabili, spesso rimaneggiate. Però meglio che niente, diciamo, ma consapevoli di aggiungere rumore di fondo a un intreccio di vite e di storia già complesso, fili sbagliati a un macramè privo di simmetria minima.
 
La mia anima ha fretta. Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere da qui in poi rispetto a quello che ho vissuto fino ad ora.
Mi sento come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci: i primi li ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi ha cominciato a gustarli intensamente.
Non ho più tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi statuti, regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà raggiunto.
Non ho più tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica, non sono cresciute.
Il mio tempo è troppo breve: voglio l’essenza, la mia anima ha fretta. Non ho più molti dolci nel pacchetto.
Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane, che sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi e che si assumano le proprie responsabilità. Così si difende la dignità umana e si va verso la verità e l’ onestà.
È l’essenziale che fa valer la pena di vivere.
Voglio circondarmi di persone che sanno come toccare i cuori, di persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con tocchi soavi dell’anima.
Sì, sono di fretta, ho fretta di vivere con l’intensità che solo la maturità sa dare.
Non intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti. Sono sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora.
Il mio obiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto e in pace con i miei cari e la mia coscienza.
Abbiamo due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai solo una.
Una poesia giusta e perfetta per il nostro tempo, per il rivendicazionismo dilagante, per l'età avanzata del nostro Facebook e per quel crepuscolare sentimento di tristezza e solitudine di un'epoca che, fallita la fuga in tram nella livida mattinata milanese, rinuncia alle fucilate e si accoda, la domenica prima della resurrezione pasquale, in un corteo funebre che si porta via tutti i pensieri, nei saloni affollati dei parrucchieri.
La domenica delle salme
Nessuno si fece male
Tutti a seguire il feretro
Del defunto ideale

La domenica delle salme
Si sentiva cantare
Quant'è bella giovinezza
Non vogliamo più invecchiare

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    Io Giorgio Strehler un giorno l'ho incontrato.

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