Dio abbia pietà dell'ingenuità di chi pensa che Jakob e Wilhelm Grimm abbiano composto i loro racconti per intrattenere i bambini e formarne uno spirito sano e gentile.

In realtà, si tratta di fiabe orrorifiche, buone per vecchi cinici che non si fanno scrupolo di leggerle ai nipotini.

 

Il palazzo dell'imperatore della Cina era il più splendido del mondo: tutto di porcellana finissima, e così fragile che bisognava fare molta attenzione a quello che si faceva, anche trovandosi a dieci passi di distanza. Il giardino era pieno di fiori stupendi, e, ai più rari, il giardiniere aveva attaccato dei campanellini d'argento, così tutti avevano l'opportunità di ammirarli. Nel giardino dell'imperatore tutto era disposto in maniera davvero perfetta; ed era un giardino vastissimo, tanto che neppure il giardiniere sapeva dove terminasse. Cammina, cammina, cammina, si arrivava in margine a una splendida foresta di piante altissime, punteggiata di limpidi laghetti; e la foresta continuava, immensa, fino al mare, azzurro e profondo, e i vascelli, costeggiando, potevano passare sotto i rami degli alberi, sporgenti sull'acqua. In mezzo a quelle piante, viveva un usignuolo dalla voce così melodiosa che anche il povero pescatore, pur preoccupato da mille pensieri, non poteva rinunciare, quando, la notte, andava a gettare le reti, a fermarsi ad ascoltarlo.

 

Kafka ha la capacità e la sfacciataggine di affascinare il lettore, sollecitarlo con i suoi rimandi simbolici, stupirlo con la pirotecnica della sua inventiva e poi, crudelmente, abbandonarlo a sé stesso e a uno sconsolato: "E quindi?".

 

Di gente che abbia visitato il paradiso è pieno il mondo (almeno quello della fantasia). Me ne vengono in mente alcuni: Mark Twain che, nel suo suo ultimo romanzo "Captain Stormfield's Visit to Heaven", racconta la visita del Capitano al paradiso. Poi Machiavelli, che in punto di morte ha una visione dell'inferno e del paradiso, e ancora Emanuel Swedenborg (1688-1772) che potè visitare le regioni ultraterrene (paradiso compreso) e discorrere con i loro abitanti e poi, naturalmente, Dante, che non solo lo visita ma ne riporta anche una dettagliata guida turistica.

È solo una breve selezione in cui mancano, per esempio e colpevolmente, Santa Brigida di Svezia, San Giovanni Bosco e Santa Caterina da Genova, oltre al mistico Padre Pio e a figure come Maria Simma, i veggenti di Fatima, suor Faustina Kolwaska,il neurochirurgo Eben Alexander, Gloria Polo e la pletora di protagonisti di varie barzellette incentrate sul Pierino di turno che "muore e va in paradiso".

Insomma, se interessa l'argomento si ha solo che da cercare.

Quello che però presento oggi è "Il paradiso degli sciocchi", racconto del premio Nobel Isaac Bashevis Singer contenuto nella raccolta "Zlateh la capra". Lettura agilissima e divertente, per curare certe tetraggini che il nostro tempo non vuole risparmiarci, Che se storie dobbiamo acsoltare, che almeno siano di buona confezione.

 

Scavatemi la fossa ove volete,
Sopra una bassa piana o sopra un colle eccelso,
Fra le tombe piú umili che siano sulla terra,
Ma non in una terra ove l'uomo sia schiavo.

 

J'adore the ciccinos che chiedono un approccio e una visione politica che vada oltre il boomerismo, che sia nuova e fresca e frizzante come agua de fuenta... e poi, a scartare il cioccolatino, stanno pensando nientepopodimeno che a un nuovo neopositivismo neomeccanicista.

Potremmo affermare, se provocati, che si è boomer non per anagrafe né per difficoltà social ma intimamente, per introiettata visione delle cose, del sole e l'altre stelle.

Estos ciccinos, per dire, non sanno neanche perché 42.

Quelle maladie! Maladie d’amour!


Ho avuto tosse ipertosse
continui sbagli
negli autunni di neve
del mio organismo.

Vani i ripari letterari
negli alberghi di mare.

Il dottore, “il grande Marotta”
medico municipale
che trovava all’esterno l’uguale
dell’interno, “e quello è stato”,
assioma che va volando,
disse alla sognatrice che lei
m’aveva salvato.

Così con quella frase roca
ancora carica di civici proclami,
lasciai il verde positivismo per la psicanalisi.

Senza saper nuotare nell’orina.

 

Il padre era morto. Kessi viveva con la madre ed era il miglior cacciatore. Ogni giorno prendeva serlvaggina per la mensa materna e nutriva gli dèi con le sue offerte. Kessi si innamorò di Shintalimeni, la minore di sette sorelle. Dimenticò la caccia e si abbandonò all'ozio e all'amore. La madre lo rimproverò: «Il miglior cacciatore, cacciato!» Il figlio prese il giavellotto, chiamò la muta dei cani e partì. Ma l'uomo che dimentica gli dèi, viene dimenticato dagli dèi.

 

Parliamo di un quarant'anni fa. Del resto, nel mezzo del cammin di nostra vita ci accorgiamo che passiamo più tempo a vedere vecchi film in bianco e nero con Totò e John Wayne che gli ultimi miracoli di computergrafica della Marvel. Quarant'anni fa scoprivo Spencer Tracy, per dire.

Parliamo di più quarant'anni fa, che ci costa?

Ero all'ultimo anno di liceo, era l'anno dopo il terremoto dell'Irpinia e della Basilicata. Non avevo un posto dove dormire a Potenza, ero tornato a Francavilla, l'ultimo anno (e la maturità) l'ho fatto alla sezione staccata di Senise del Quinto Orazio Flacco di Potenza.

Avevo dolori peggiori di quelli del giovane Werther, che lenivo con alcol, pizza, cassette degli Squallor, romanzi di Zane Grey e di James G. Ballard, pomeriggi con la "Sonata per archi n. 3 in Do maggiore" di Gioacchino Rossini(1) e cinema.

Il cinema era quello di Senise, film con Alvaro Vitali (RIP) ed Edvige Fenech tutta la settimana escluso il venerdì.

Voi adorabile creola dagli occhi neri e scintillanti come metallo in fusione, voi figlia generosa della prateria nutrita di aria vergine voi tornate ad apparirmi col ricordo lontano: anima dell’oasi dove la mia vita ritrovò un istante il contatto colle forze del cosmo.
Io vi rivedo Manuelita, il piccolo viso armato dell’ala battagliera del vostro cappello, la piuma di struzzo avvolta e ondulante eroicamente, i vostri piccoli passi pieni di slancio contenuto sopra il terreno delle promesse eroiche!
Tutta mi siete presente esile e nervosa. La cipria sparsa come neve sul vostro viso consunto da un fuoco interno, le vostre vesti di rosa che proclamavano la vostra verginità come un’aurora piena di promesse!
E ancora il magnetismo di quando voi chinaste il capo, voi fiore meraviglioso di una razza eroica, mi attira non ostante il tempo ancora verso di voi!

Da quale agreste ballata della verde Inghilterra,
da quale stampa persiana, da quale regiona arcana
delle notti e dei giorni che il nostro ieri racchiude,
è venuta la cerva bianca che ho sognato questa mattina?

Avevi mai pensato che Ungaretti ha in sé e nel suo nome l'imbarazzante renitenza boema o comunque balcanica?

Piccolo stronzetto ungherese.

Mérhetetlenül ragyogok

Non potevi scriverlo, ti avrebbero riso dietro.

Ma József Attila, poeta di cristallina rudezza, di mani contadine e virile schizofrenia novecentesca, scrisse tanto e bene in ungherese, dando limpidezza e scioltezza ai dannati ceppi ungrofinnici.

Il samoiedo, il vogulo e l'ostiaco; il permiano, con il sirieno e il votiaco; il ceppo del Volga, con il ceremisso e il mordvino; la radice balto-finnica, con il finnico, l'estone e altri dialetti minori; quella lappone...

 

Di Prometeo narrano quattro leggende:

Secondo la prima egli, avendo tradito gli dèi in favore degli uomini, venne incatenato al Caucaso e gli dèi mandarono delle aquile a divorargli il fegato che ricresceva continuamente.

La seconda narra che Prometeo, er il dolore causato dai becchi che lo dilaniavano, si serrò sempre più contro la roccia finché divenne una cosa sola con essa.