Ulrica
Hann tekr sverthit Gram ok
leggr i methal theira bert.
VOLSUNGA SAGA, 27
Il mio racconto sarà fedele alla realtà, o almeno al mio ricordo personale della realtà, che è poi la stessa cosa. I fatti sono molto recenti, ma so che il costume letterario è anche il costume di inserire dettagli di circostanza e di enfatizzare. Voglio scrivere del mio incontro con Ulrica (non ho mai saputo il suo cognome e forse non lo saprò mai) nella città di York. La cronaca coprirà una notte e una mattina.
Non mi costerebbe nulla raccontare di averla vista per la prima volta accanto alle Cinque Sorelle di York, quelle vetrate pure da ogni immagine che vennero rispettate dagli iconoclasti di Cromwell, ma il fatto è che ci siamo conosciuti nella saletta del Northern Inn, dall'altra parte delle mura. Eravamo in pochi e lei mi voltava le spalle. Qualcuno le offrì da bere, ma rifiutò.
«Sono femminista», disse. «Non voglio scimmiottare gli uomini. Non mi piacciono né le loro sigarette né i loro liquori».
La frase voleva essere spiritosa e intuii che l'aveva già pronunciata altre volte. Poi mi resi conto che non era da lei, ma quello che diciamo non sempre ci assomiglia.
Spiegò di essere arrivata tardi al museo; quando avevano saputo che era norvegese l'avevano lasciata entrare.






