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VOLSUNGA SAGA, 27

Il mio racconto sarà fedele alla realtà, o almeno al mio ricordo personale della realtà, che è poi la stessa cosa. I fatti sono molto recenti, ma so che il costume letterario è anche il costume di inserire dettagli di circostanza e di enfatizzare. Voglio scrivere del mio incontro con Ulrica (non ho mai saputo il suo cognome e forse non lo saprò mai) nella città di York. La cronaca coprirà una notte e una mattina.
Non mi costerebbe nulla raccontare di averla vista per la prima volta accanto alle Cinque Sorelle di York, quelle vetrate pure da ogni immagine che vennero rispettate dagli iconoclasti di Cromwell, ma il fatto è che ci siamo conosciuti nella saletta del Northern Inn, dall'altra parte delle mura. Eravamo in pochi e lei mi voltava le spalle. Qualcuno le offrì da bere, ma rifiutò.

«Sono femminista», disse. «Non voglio scimmiottare gli uomini. Non mi piacciono né le loro sigarette né i loro liquori».

La frase voleva essere spiritosa e intuii che l'aveva già pronunciata altre volte. Poi mi resi conto che non era da lei, ma quello che diciamo non sempre ci assomiglia.

Spiegò di essere arrivata tardi al museo; quando avevano saputo che era norvegese l'avevano lasciata entrare.

Nell’infanzia ho esercitato con fervore l’adorazione della tigre: non la tigre maculata degli isolotti del Paraná e della confusione amazzonica, ma la tigre striata, asiatica, reale che solo gli uomini guerrieri possono affrontare, dall’alto di una torre sopra un elefante. Spesso mi attardavo senza fine davanti a una delle gabbie dello zoo; amavo le vaste enciclopedie e i libri di storia naturale, per lo splendore delle loro tigri. (Mi ricordo ancora di quelle illustrazioni: io che non riesco a ricordare senza errore la fronte o il sorriso di una donna). Passò l’infanzia, svanirono le tigri e la mia passione, ma esse stanno ancora nei miei sogni. In quello strato sommerso o caotico continuano a imporsi, e in questo modo: una volta addormentato, mi distrae un sogno qualsiasi e a un tratto so che è un sogno. Allora penso: questo è un sogno, un puro svago della mia volontà, e poiché ho un potere illimitato produrrò una tigre.

Oh, imperizia! I miei sogni non sono mai capaci di generare l’agognata fiera. La tigre appare, sì, ma smunta o svigorita, o con impure variazioni dell’aspetto, o di misura inaccettabile, o fugace, o con qualcosa di cane o di uccello.

 

Salve tenebra, vecchia amica mia
Eccomi a parlare ancora con te
Perché una visione silenziosamente
Si è intrufolata mentre dormivo
Ed ha lasciato una traccia
E questa visione mi si è impiantata in testa
E lì rimane ancora con il frastuono del silenzio

 

Una volta Tanzan ed Ekido camminavano insieme per una strada fangosa. Pioveva ancora a dirotto.

Dopo una curva, incontrarono una bella ragazza, in chimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare la strada.

 

Al Père-Lachaise Cléo piange se stessa

danza la sua bellezza sabbatica nella fiamma desiderante degli occhi di Toulouse-Lautrec.

Vince il silenzio un sordido can-can: fra le tombe mute si espande il biancore arrossato di mille pizzi svolazzanti, indiavolati.

I Francesi. Che sempre hanno preferito il peccato al dolore.