È da un po' che non parlo delle mie letture. Rimediamo subito, sperando di essere, se non utile, almeno ameno.

Sto sfogliando, reverenzialmente, un testo quanto mai bizzarro:

L'onanismo
Dissertazione sulle malattie prodotte dalla masturbazione

 

Dico sfogliando, e non leggendo, perché è un regalo per un caro amico il quale, qualche settimana fa, in una cena vitellonesca a base di baccalà, ha avuto il garbo di avviare un dibattito sui benefici che l'onanismo avrebbe (a suo dire, abbiamo qualche medico in sala che possa confermare?) sui malanni prostatici di noi giovani dentro e ultrasessantenni all'anagrafe medica.

Per quelle bizzarre combinazioni che a volte fanno temere di essere osservato speciale di forze misteriose e non necessariamente benevoli, pochi giorni dopo l'aureo libretto (di pregevole e preziosa fattura) mi ha fatto all'improvviso l'occhiolino su una bancarella di via Po e, naturalmente, non ho potuto ignorarlo.

 
Se avessi il tempo e le capacità, scriverei una "Storia minima dell'igiene".
Ci sarebbero passaggi non adatti a persone di spirito debole, naturalmente.
Ma ci sarebbe anche, da protagonista, la magnifica urgenza dei latini per gli stabilimenti termali, poi lunghi capitoli su come ci si puliva in un'epoca precedente all'invenzione del sapone, una accurata dissertazione sullo strigile e sulle sedute in palestra per levarsi l'olio e la sabbia. Di contro, approfondirei la situazione igienica dell'Urbe, le strade invase dalle deiezioni animali in una melma disgustosa, le anfore di urina puzzolente a ogni angolo della strada, i pitali svuotati dalle finestre sulla testa dei passanti...
Potrei non parlare del secchio con acqua e aceto, con dentro uno straccio legato a un manico (tipo mocio), posizionato lungo le latrine negli accampamenti della legione? E, per restare in tema, potrei mai glissare su Andreuccio da Perugia e la sua discesa nel chiassetto?
E poi ci sarebbe un capitolo sul sapone e su come quello che oggi chiamiamo "sapone" arrivi dal mondo arabo, con le crociate.
E non potrei ignorare le abluzioni rituali con la sabbia del deserto, l'ossessione giapponese per la pulizia, l'inclinazione protocristiana per i resti umani da portare in processione, la normale coabitazione di umani e animali (galline, asini, pecore, maiali) negli stessi locali; esplorerei le bizzarre liaisons fra i carovanieri andini e i loro lama (per tacere dei gesuiti); parlerei della scrofola e dei suoi rimedi, dell'uso di seppellire i morti sotto i pavimenti dissestati delle chiese (e da dove arriva l'uso dell'aspersorio dell'incenso), della consuetudine delle corti settecentesche di defecare dietro le tende, delle parrucche (e cosa c'era dentro) e dell'idea che lavarsi fosse dannoso alla salute e da praticare solo dietro prescrizione medica, del buon odore proveniente dal sego irrancidito con cui nella Milano asburgica ci si impomatava i capelli e i baffi, oltre che gli stivali.
Un capitolo sarebbe dedicato alle malattie legate all'igiene (alla mancanza di): al colera e a John Snow (no, non quello di GOT), al "mal francese" o sifilide, alla mortalità da parto e a Ignác Semmelweis.
Finirei ricordando i bacili di tolla smaltata (e spesso sbeccata) degli anni 60 e 70, i vasi da notte sotto il letto di cui vagamente mi ricordo e una signora americana che mi raccontava che in Abruzzo non hanno i gabinetti e la fanno dietro le siepi.

Attrup'chè a tutt i petr' d'a via.

 

È un modo di dire nel mio dialetto. Lo traduco come "Inciampare a ogni ciottolo sulla strada".

Si dice di persone permalose, puntigliose, ipercritiche, facili all'impuntatura e allo sbrocco d'ira, pochi inclini a considerare il piano generale (arrivare da qualche parte) e eccessivamente lamentose verso le grandi e, più spesso, le piccole difficoltà del cammino.

 

Lungo il corso delle generazioni
gli uomini eressero la notte.
In principio era sonno e cecità
e spine che trafiggono il piede nudo
e paura dei lupi.

Nel romanzo breve "Do Androids Dream of Electric Sheep?", da cui è stato tratto il film "Blade Runner", Philip K. Dick si interroga, fra le altre questioni che sono la base abituale della sua "poetica", su cosa distingua un autentico essere umano da uno finto.

Gli androidi sono in tutto e per tutto umani: stessa struttura fisica e biologica, stessi sentimenti (come l'istinto di sopravvivenza, la capacità di innamorarsi o di odiare), addirittura l'autoconvinzione di essere umani *veri*.

Rick Deckard, il protagonista (nel film, Harrison Ford), deve esaminarli e capire *cosa* sono: umani o replicanti.